Dai grandi Maestri protagonisti dell’arte moderna delle avanguardie storiche al secondo futurismo
Si può cominciare ad avere un’idea chiara dello stato della pittura italiana nel secondo dopoguerra considerando la XXIV edizione della Biennale di Venezia, la prima dopo l’interruzione bellica, che nel 1948 permetteva un’ampia ricognizione sul panorama artistico nazionale e internazionale. “Abbiamo accolto più opere di ogni corrente e di ogni indirizzo – scriveva nella prefazione del catalogo il presidente della mostra – e confidiamo che tutti riconoscano come non si sia tenuto conto nell’ invito e nella scelta che dei valori artistici. Credo di non -esagerare- se affermo che, per la prima volta dopo la guerra si ha una visione così larga e completa di quanto è stato creato dai maggiori artisti dell’età moderna. Dal movimento primo di reazione contro l’accademia che si suol chiamare impressionismo al post-impressionismo, alla corrente espressionista, all’ astrattismo, surrealismo, il panorama sugli indirizzi dell’arte è completo. Naturalmente questo panorama si allarga e si estende all’ arte italiana che dimostra la sua forza e la sua validità così nell’ inizio del rinnovamento come nelle varie tendenze, tradizionali, rinnovate o rivoluzionarie “.
Negli anni Venti e Trenta il Futurismo trova a Torino il proprio “centro d’elezione”. Torino diviene la città del cosiddetto Secondo Futurismo, determinante nella nuova e vitale stagione del movimento nato a febbraio 1909. Nel ’29 sarà pubblicato qui il manifesto dell’Aeropittura, firmato da loro: Giacomo Balla, Fortunato Depero, Filippo Tommaso Marinetti ed Enrico Prampolini che, insieme a, e con, l’Arte Meccanica, sottoscritto nel 1922 da “Vinicio Paladini”, “Ivo Pannaggi” ed Enrico Prampolini, segnano la seconda stagione di questa nuova avanguardia. Il contributo apportato alla cultura – torinese – dal gruppo guidato dal giovane Fillia (Luigi Colombo), in stretto contatto con Marinetti, è assai articolato e tocca varie tematiche legate all’arte, all’architettura e a tutti quegli aspetti che, nell’ottica dell’estetica futurista, investono i diversi ambiti della vita, dall’arredo alla grafica, dalla tipografia alla pubblicità, oggi diremmo “Tout court”.
“Figure” – Mino Maccari
Tecnica: Olio su Tela – Dimensioni: cm. 50X70.
La matrice dell’azione dei secondo futuristi, in linea con la visione – ipermoderna – che aveva già contraddistinto la prima fase del movimento, è profondamente iscritta in un’idea di città rispetto alla quale l’arte e poi l’architettura sono chiamate a intervenire, rispecchiando i mutamenti della contemporaneità.
Per comprendere la grande portata del divario tra la concezione futurista della città e quella degli altri artisti torinesi, sono utili le parole di Fillia in un articolo pubblicato su “L’Impero” nel novembre del 1929, a commento della mostra delle “Vedute di Torino” che radunava alla Fontanesi un gruppo eterogeneo per modi e generazioni ( da Bistolfi a Casorati ). Di quelle vedute Fillia stigmatizza l’omogeneità di una visione incentrata sulle “parti più sfruttate” di Torino, vale a dire quelle che reiterano lo – “stereotipo urbano”- ottocentesco e sottolinea, al contrario, la totale assenza di soggetti intonati all’aspetto della “capitale dell’industria”. Fillia scrive:
”Sembra che il pittore sia un essere insensibile, fuori dal tempo, legato alla tradizione borghese della città, senza contatti con la vita.
Un centinaio di operai, guidati da Marinetti, visiteranno di conseguenza “l’Esposizione Futurista Internazionale” aperta al Winter Club nella galleria Subalpina dal 27 marzo 1922. Presenti opere di Balla, Depero, Prampolini, Pannaggi e Dottori tra gli altri. Luigi Colombo che sceglierà da subito di firmarsi Fillia (Revello, Cuneo, 1904 – Torino 1936) entrò qui in contatto con il fondatore del movimento, nella stessa sede, aprì la personale “Casa d’Arte Depero”.