Prende forma una sorta di contrasto nei confronti della “non pittura” che fino a quel momento imperversava nelle varie metodologie che si erano date come le più forti strategie di disgregazione. Maturava la processualità dell’Arte Povera e il riduttivismo, sempre più radicale del concettualismo, l’intenzionalità di ritorno alla pittura, ed è in questo clima che si manifesta “l’area della transavanguardia”.
La transavanguardia stravolge l’idea dell’arte tutta tesa verso l’astrazione concettuale operando fuori da queste coordinate obbligate, seguendo un atteggiamento nomade di reversibilità di tutti i linguaggi del passato. E aggiunge una capacità di citare la superficie dei linguaggi ripresi. E’ in questa superficialità intenzionale, questa ironica e pur contraddittoriamente e appassionatamente ripresa della pittura, con gli strumenti legati al linguaggio del seguo e del colore, che distingue gli artisti italiani dalla transavanguardia di tutta la linea che si definisce postmoderna degli anni sessanta.
Gli artisti della transavanguardia italiana recuperano direttamente e individualmente una libera immediatezza di immagini proclamando la loro gioia nella pittura. Benito Oliva dice: “L’arte attuale assume del manierismo” e Argan dichiara: “il solo fenomeno che non sia di sola sopravvivenza e conservi una certa carica problematica è quello che va sotto il nome di transavanguardia”.
“Senza titolo” – (1988) – Nicola De Maria
Tecnica: Olio su Tela – Dimensioni: cm. 65×45.
Probabilmente, il contributo più decisivo degli italiani alla scena artistica e culturale in quegli anni formativi si può indicare nella radicalità con cui hanno ripreso le fila del discorso sulla soggettività.
Al culmine dello sviluppo di estetiche che, influenzate dallo Strutturalismo quanto dalle tendenze più radicale della semiologia o della psicanalisi, screditavano i valori dell’individualità fino a rifiutare di attribuire a essa un’importanza qualsiasi nell’esegesi critica, la – Transavanguardia – ha inventato un linguaggio capace di parlare di nuovo del soggetto,del suo mondo interiore, dei suoi fantasmi inconsci, delle sue passioni.
Se poi il “ritorno all’ordine” fosse misurabile sulla felicità con cui le opere d’arte compaiono il loro destino di “surdecorare un salotto” come diceva lo stesso Licini, dobbiamo rilevare che quelle della Transavanguardia hanno reso difficile questo triste cammino.
Niente di rassicurante o di domestico quindi nelle opere della Transavanguardia , ma anzi, molto di inquietante, di eccessivo, di sregolato. Nessun ritorno all’ordine, se si dà a questo termine un valore ideologico, ma una meditata per quanto – non canonica – rivalutazione degli strumenti base tradizionali.
E’ inutile qui riprendere discorsi più volte affrontati, ma varrà la pena, per sottolineare la rilevanza dell’iniziativa, ricordare quanto difficilmente
i musei italiani siano in grado ancor oggi di documentare il “Futurismo”, la “Metafisica” e i maggiori protagonisti per l’appunto delle avanguardie storiche.
L’esperienza ci ha insegnato, che solo la sinergia fra istituzioni pubbliche e contributi privati potrà venire incontro a queste necessità culturali e collocare i musei italiani allo stesso livello di qualità dei loro corrispondenti internazionali nel comune compito di documentare l’arte del presente colta nei suoi aspetti più alti.